lunedì 10 dicembre 2007

GLOBALIZZAZIONE: L'ETA' DELL'ORO?


Lavoro, occupazione, economia, finanza e politiche sociali; sono fattori determinanti di regolazione della società contemporanea; ma possono essere considerati entità autonome ed indipendenti che non risentono delle veloci e radicali trasformazioni mondiali della globalizzazione? Assolutamente no!
Eppure da più parti arrivano insistenti rassicurazioni; è un roseo futuro quello ci attende adesso che è tornata l’età: più lavoro per tutti, più risorse per i primari bisogni della collettività, internet veloce e sicuro e le innovazioni della new economy, possibilità di concludere affari in ogni parte del globo in maniera rapida e remunerativa, capitali che circolano e si incrementano.
Tutte prospettive bellissime ma che perdono qualsiasi connotato di realtà quando si scontrano con i dilaganti fenomeni di alti tassi di disoccupazione, dei grandi crack bancari ed imprenditoriali e di una new economy relegata ad un insignificante nicchia dell’economia mondiale; senza contare che il terzo mondo che affogava nella miseria nel ventesimo secolo, annaspa tuttora nella povertà.
Allora cosa è successo? È successo che soltanto gli sprovveduti potevano pensare che “globalizzare” il mondo e correre dietro a sfrenate forme di liberalizzazione avrebbe avuto effetti esclusivamente positivi.
I mercati finanziari sono stati liberalizzati senza che venissero adottati opportuni provvedimenti, con il risultato di una dilagante elusione ed evasione fiscale, con il proliferare di pianificazioni imprenditoriali concepite per ridurre ulteriormente le basi imponibili dei capitali e la delocalizzazione degli stessi in paesi con una fiscalità agevolata se non addirittura assente (vedi i casi delle società off shore).
Gli Stati, costretti a seguire le spinte liberali – globalizzate, hanno finito per cedere parti sempre più consistenti del loro potere di regolazione alle forze di mercato specie in quei settori, come quello fiscale o finanziario, che invece dovrebbero rimanere di prerogativa delle autorità pubbliche.
Tutto ciò ci porta ad esprimere una considerazione d’obbligo: il fenomeno della globalizzazione non può essere lasciato a “se stesso” perché insistere nell’idea di un mercato capace di autoregolarsi da solo è pura utopia.
Intervenire in maniera correttiva significa partire dall’idea che mercato unico non deve assolutamente significare pensiero unico: le politiche sociali non possono essere sottoposte a processi di standardizzazione perché i problemi sociali non possono essere standardizzati.
Ogni Stato deve riacquistare l’esatta percezione della sua identità intesa sia in senso culturale che sociale, economico ed occupazionale; il mondo del lavoro, per fare un esempio, risente da un lato dei grandi mutamenti globali ma dall’altro lato rimane fortemente connaturato alla regione geografica di riferimento con proprie caratteristiche sociali dalle quali non può prescindere.
Non si può pretendere che le politiche sociali siano adeguatamente tutelate e realizzate da un sistema economico che cerca di uniformare offerta, domanda, lavoratore e consumatore annullando qualsivoglia caratterizzazione territoriale o identitaria.
Le grandi organizzazioni internazionali da un lato devono operare secondo il principio di sussidiarietà perché le risposte più celeri ed adeguate possono essere date solo dalle istituzioni più vicine al popolo; dall’altro devono incanalare l’espansione dei mercati nelle direttive date da un “codice di condotta” del rispetto delle libertà e dei diritti individuali e collettivi(vedi Cina) ed annullando, altresì, le sacche di concorrenza sleale e dannosa(vedi sempre Cina).
Salvatore Ruberti

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Bravo Salvatore,ma è ora che i rubinetti a questi signori li chiudiamo noi!

Anonimo ha detto...

Salvatore sei difficile ed un po' lunghetto. Comunque, BRAVOOOO